Sotto la seconda presidenza Trump, gli Stati Uniti stanno scivolando verso una nuova forma di autoritarismo. Non si tratta di una dittatura nel senso classico del termine — con partito unico, repressione violenta o censura totale — ma di un regime ibrido, dove le istituzioni democratiche continuano a esistere formalmente, ma vengono sistematicamente svuotate della loro funzione. Lo sostiene Steven Levitsky, politologo di fama internazionale e coautore di Come muoiono le democreazie, nel saggio “The New Authoritarianism” pubblicato sul mensile The Atlantic.
Trump e la deriva competitiva del potere
Levitsky definisce questo tipo di regime un “autoritarismo competitivo”, dove elezioni, tribunali e stampa restano in piedi, ma la concorrenza politica è distorta, la giustizia è piegata alla volontà del potere esecutivo e i media sono delegittimati e intimiditi. Questa forma dfi autoritarismo si afferma non con un colpo di Stato, ma per via amministrativa, normativa e mediatica, e ciò lo rende più difficile da riconoscere e contrastare.
Il politologo individua i segnali di questa trasformazione già nelle prime settimane del secondo mandato di Trump. Le sue azioni si sono concentrate su tre fronti principali: il licenziamento dei funzionari pubblici considerati “ostili” o non leali, l’uso politico delle agenzie investigative e fiscali, e una campagna di delegittimazione sistematica nei confronti dei media indipendenti e della magistratura. Tutto questo — sostiene l’autore — non elimina la democrazia sulla carta, ma la priva di efficacia nella pratica.
Una catena di comando personale
Un aspetto centrale della nuova strategia autoritaria consiste nella rimozione dei funzionari pubblici di carriera e nella loro sostituzione con personale politicamente fedele al presidente. Trump ha infatti adottato una serie di provvedimenti amministrativi che revocano le tutele a migliaia di dipendenti federali, rendendoli licenziabili a discrezione dell’esecutivo. Questo consente alla Casa Bianca di eliminare i funzionari considerati critici o troppo indipendenti, trasformando l’amministrazione pubblica in una catena di comando personale.
L’idea è semplice ma potente: se ogni dirigente federale sa di poter essere rimosso in qualsiasi momento, la sua lealtà non sarà più alla Costituzione o al pubblico interesse, ma al presidente in carica. Così facendo, l’intero apparato amministrativo smette di essere un organo tecnico neutrale e diventa uno strumento politico di potere.
L’uso selettivo del potere repressivo
Levitsky sottolinea che Trump non ha bisogno di reprimere tutti gli oppositori per esercitare il controllo: è sufficiente colpire selettivamente figure chiave — giornalisti, accademici, giudici, funzionari — per generare un clima generalizzato di timore e autocensura. Basta che un’università perda un contratto, che un cronista venga indagato o che un docente venga rimosso perché il messaggio si diffonda. Questa è “repressione selettiva”: pochi esempi bastano a far tacere molti.
Nel frattempo, Trump continua a proteggere i suoi alleati più radicali, compresi i partecipanti all’assalto del 6 gennaio 2021. Alcuni sono stati graziati o difesi pubblicamente. Al contempo, atti di intimidazione contro elettori, attivisti o funzionari elettorali non vengono perseguiti. Questo doppio standard rafforza l’idea che la violenza a favore del regime sia tollerata, mentre la critica sia rischiosa. È una strategia di impunità selettiva che corrode la legittimità delle istituzioni.
Il controllo della società civile
L'articolo descrive con preoccupazione anche la crescente influenza del potere esecutivo su sulla società civile: aziende, media, istituzioni accademiche. L’amministrazione utilizza strumenti normativi e fiscali per premiare i soggetti allineati e punire i critici, inducendo i leader economici e culturali a evitare conflitti con il potere per timore di ritorsioni.
L’autore osserva che questo meccanismo ha già prodotto effetti tangibili nei comportamenti di grandi aziende e figure pubbliche, che tendono ad autocensurarsi o ad allinearsi, non per convinzione, ma per calcolo. In un contesto simile, l’opinione pubblica si impoverisce, il dibattito si irrigidisce, e la democrazia perde il suo carattere pluralistico.
Democrazia senza sostanza
Il messaggio di del politologo di Harvard è chiaro: la democrazia americana sta diventando una facciata. Le elezioni si tengono, ma in condizioni di diseguaglianza; la stampa esiste, ma è intimidita; la giustizia opera, ma viene aggirata e delegittimata. Le istituzioni, cioè, non scompaiono, ma smettono di funzionare come contrappesi reali.
Questo processo è più difficile da combattere perché non si presenta come una crisi, ma come un insieme di riforme legali, direttive esecutive e scelte amministrative. La narrazione ufficiale parla di efficienza, riforma, lotta alla burocrazia. Ma in realtà, ciò che si costruisce è un regime sempre più personalizzato, centralizzato e intimidatorio, dove il dissenso è tecnicamente permesso, ma praticamente sconsigliato.
Conclusione
Steven Levitsky avverte che il vero pericolo pericolo americano è una deriva lenta, progressiva, normalizzata, che trasforma le istituzioni democratiche in strumenti di potere personale. La seconda amministrazione Trump sta dimostrando che anche in un paese con solide tradizioni costituzionali, la democrazia può essere svuotata dall’interno, senza bisogno di sospendere la Costituzione o chiudere i tribunali.
La sfida, conclude, sarà riconoscere questo slittamento prima che diventi irreversibile, e opporsi con decisione — non per difendere un partito o un’ideologia, ma per salvaguardare la possibilità stessa di una democrazia funzionante.
Immagine: Il golpe dello zio Sam. Realizzata con la collaborazione dell'intelligenza artificiale (DALL-E).