Nel suo articolo sul New York Times International, Michelle Goldberg analizza la reazione entusiastica, ma miope, di molti investitori e protagonisti della finanza all’elezione di Donald Trump nel 2024. Secondo Goldberg, buona parte del mondo finanziario ha accolto con euforia il ritorno di un’amministrazione percepita come “pro-business”, vedendo in Trump un liberatore dalle regolamentazioni, dalle tasse e dal “politically correct”. Tuttavia, questa eccitazione ha oscurato il realismo economico: molti professionisti hanno ignorato, volontariamente o per opportunismo, la lunga storia di Trump come fautore di politiche commerciali protezionistiche e autolesioniste.
Goldberg si concentra in particolare sull’analisi di Peter Berezin, capo stratega globale di BCA Research, che già all’indomani dell’elezione aveva previsto un’alta probabilità di recessione. Berezin sottolinea come molti attori di Wall Street siano proni al conformismo intellettuale e al pensiero di gruppo, temendo più di tutto di essere accusati di eccessivo pessimismo. In finanza, spiega, si viene puniti per essere orsi, non per essere tori. Ne sono prova i casi di Marko Kolanovic e Mike Wilson, allontanati dai rispettivi ruoli dopo aver emesso previsioni negative risultate premature.
Goldberg esplora anche la componente culturale che ha contribuito a questo accecamento: una parte significativa del settore tecnologico e finanziario era stanca del “wokeism” e ha visto in Trump l’occasione per scrollarselo di dosso. Così, quando il futuro segretario al Tesoro Scott Bessent ha dipinto Trump come un libero scambista che usa i dazi solo come tattica negoziale, molti sono stati felici di credergli, ignorando decenni di prove contrarie.
L’autrice critica la superficialità con cui Wall Street ha continuato a sottovalutare la natura profondamente destabilizzante della leadership di Trump. Politiche economiche contraddittorie, rimozione di esperti chiave nella pubblica amministrazione, teorie cospirazioniste ai vertici della sicurezza nazionale: tutti segnali di una deriva istituzionale che, secondo Berezin, potrebbero già aver superato un punto di non ritorno.
Il danno, infatti, non è solo percepito, ma concreto. Goldberg evidenzia segnali allarmanti nel mercato obbligazionario, dove il mancato abbassamento dei rendimenti dei titoli del Tesoro in risposta al calo delle azioni potrebbe indicare una perdita di fiducia strutturale negli Stati Uniti. La possibilità che il dollaro perda il suo status di valuta di riserva internazionale — un pilastro del potere globale americano — non è più impensabile.
In conclusione, Goldberg sottolinea l’ironia amara dell’illusione di razionalità economica attribuita a Trump da parte di persone che lo avrebbero dovuto comprendere meglio. Dopo tutto, come si può aspettare razionalità economica da qualcuno che è riuscito a mandare in fallimento dei casinò?