Antimaka s.f.: nome immaginario composto da anti (contro) e mache (battaglia). Evoca una figura mitologica che ripudia la guerra, lottando per la pace e la giustizia.

USA

USA: laboratorio del nuovo autoritarismo

Steven Levitsky, noto politologo di Harvard, analizza la seconda amministrazione Trump come esempio di “autoritarismo competitivo”: una forma di regime che mantiene le apparenze democratiche, ma ne svuota la sostanza. Il cuore del progetto è il controllo diretto dell’apparato statale da parte del presidente, attraverso licenziamenti mirati, repressione selettiva e pressioni su media, le università, la giustizia e le imprese. L’obiettivo non è un golpe tradizionale, ma la neutralizzazione della democrazia dall’interno, sostituendo la separazione dei poteri con una catena di comando personale. Il risultato è una democrazia formale, ma priva di contrappesi. E dunque illiberale. La sfida, avverte Levitsky, è riconoscere e fermare questo processo prima che sia troppo tardi.

Oltre il confine. Una vita tra l’America, l’esilio e il ritorno

Nel 2015, dopo 22 anni da immigrata senza documenti negli Stati Uniti, l'autrice - Jill Damatac che scrive sul New York Times - si auto-deporta nelle Filippine, lasciando il Paese che l'ha cresciuta. Grazie al matrimonio con un cittadino britannico, ricostruisce la sua vita nel Regno Unito, conseguendo due lauree e ottenendo la cittadinanza. Nel 2025, scaduto il divieto decennale di reingresso negli USA, ottiene un visto e torna in America, ma il ritorno è segnato da senso di colpa e nuove consapevolezze sulla sua identità e sul sistema migratorio.

Il tecnopopulismo che vuole ridefinire l'America

Un articolo di Mauro Magatti sul Corriere della Sera analizza l’ascesa del tecnopopulismo nichilista negli USA, una sintesi tra populismo, potere tecnologico e religione. L’alleanza tra Trump e i giganti della tecnologia promuove un’ideologia libertaria senza regole e distrugge la nozione stessa di verità. Il vuoto nichilista viene riempito dalla “teologia della prosperità”, che giustifica le disuguaglianze sociali sostenendo che la ricchezza economica è un segno del favore divino mentre la povertà segnala una fede insufficiente. Alla democrazia si sostituisce così un nuovo populismo, basato sulla manipolazione tecnologica del consenso e sulla giustificazione religiosa di una società classista.

Oligarchia made in U.S.A.

Per decenni, scrive Fabio Pavesi su Domani, il mondo occidentale ha stigmatizzato e denigrato il ruolo e le funzioni delle oligarchie finanziarie sorte nei Paesi dell’ex blocco sovietico. Un intreccio colossale con il potere autocratico che ha favorito la crescita del potere oligarchico finanziario spesso opaco e ambiguo. Un mondo corrotto e dominato dall’accumulo di ricchezze e potere nelle mani di una casta di eletti. Come in una paradossale nemesi storica, tocca ora all’economia di mercato del Paese del turbo liberismo soggiogarsi al nuovo modello di feudalesimo finanziario.

USA. Appello contro il piano su Gaza di Trump

Lo firmano oltre 350 rabbini e figure della comunità ebraica nordamericana denunciandolo come un progetto di pulizia etnica e atto immorale. L’iniziativa, diffusa con una pagina pubblicitaria sul New York Times, ha raccolto il sostegno di artisti e intellettuali come Tony Kushner, Naomi Klein e Joaquin Phoenix. Il piano prevede il trasferimento forzato di un milione di palestinesi per fare spazio a un’area immobiliare. Interpellato dai media vaticani, il rabbino David Rosen ha sottolineato la gravità del progetto, ma dubita che l’appello influenzi la politica americana

Necessità e contraddizioni dell’epoca di Trump: alcune tendenze degli Stati Uniti

L’era di Trump, sostiene Vincenzo Costa, risponde a una crisi esistenziale degli USA: declino industriale, perdita di egemonia, dedollarizzazione. In questo contesto, il protezionismo è una necessità. La sfida è rifare degli Stati Uniti una potenza industriale, con cui evitare conflitti commerciali, che va pagata per garantire sicurezza e che attragga talenti tecnologici, non manovalanza a basso costo. Il prezzo è alto: la società americana sta passando dalla polarizzazione al conflitto aperto e non è chiaro se e quanto a lungo le due Americhe potranno convivere. Ma gli oligarchi sono disposti a pagarlo: hanno scelto Trump perché le condizioni lo impongono. E - in risposta a questa chiamata - Trump non sta smantellando lo Stato, lo sta privatizzando. Se vincerà sarà perché la sopravvivenza del sistema lo esige, non per il culto della sua personalità.