Antimaka s.f.: nome immaginario composto da anti (contro) e mache (battaglia). Evoca una figura mitologica che ripudia la guerra, lottando per la pace e la giustizia.

Trump

“Io so qualcosa che molti non apprezzano di Donald…”

Eileen Workman è un'autrice e saggista che ha trascorso 16 anni nel settore finanziario, ricoprendo il ruolo di First Vice President of Investments in una importante società di Wall Street, fino a quando un risveglio spirituale l'ha portata ad abbandonare quel campo. Ha lavorato con Trump e ora offre queste considerazioni su di lui si varie piattaforme social. Noi l’abbiamo ripresa e tradotta da un post su Facebook del sociologo americano Jerry Krase. Lo scritto di Workman evidenzia come Donald Trump, sin dai tempi della finanza, abbia celato una sua agenda nascosta in ogni trtasazione. Con carisma e spettacolarità, ha manipolato accordi e relazioni, trattando ogni contratto come strumento di profitto personale. L’autrice sottolinea inoltre il disprezzo di Trump per ogni tipo di vincolo e limite, e la sua diabolica capacità di utilizzare abilmente il potere della persuasione per avanzare i propri interessi.

Trump e il caos globale: un risiko senza soluzioni

L'analisi di Giorgio Ferrari su Avvenire delinea un panorama internazionale complesso, dove l'approccio impulsivo di Donald Trump ha moltiplicato le crisi globali senza offrire soluzioni concrete. Dalla guerra in Ucraina ai conflitti in Medio Oriente, le iniziative del presidente statunitense sembrano più orientate a destabilizzare che a risolvere. Con promesse irrealistiche e una politica estera frammentata, Trump ha trasformato la diplomazia in un gioco pericoloso, lasciando l'America e il mondo in uno stato di incertezza crescente.

Le vendette di Trump: dissenso, università, magistratura

Un articolo di Zachary B. Wolf sul sito della CNN descrive l’uso sistematico del potere esecutivo da parte di Trump per reprimere ogni forma di dissenso, interno o pubblico. Attraverso proclami ufficiali, il presidente ha ordinato indagini su ex funzionari come Chris Krebs e Miles Taylor, accusandoli di tradimento e revocando le loro autorizzazioni di sicurezza. Ha esercitato pressioni su studi legali, minacciato l’impeachment dei giudici ostili, chiuso uffici federali in città non allineate e congelato fondi a università ritenute ideologicamente scomode. Studenti stranieri e attivisti come Mahmoud Khalil sono stati arrestati o dichiarati deportabili. Il messaggio, netto, è che il dissenso non sarà tollerato. Il presidente della Corte Suprema John Roberts ha reagito denunciando pubblicamente l’attacco all’indipendenza della magistratura.

Dalla democrazia al disastro: Trump e Netanyahu, fratelli nella deriva autoritaria

Thomas Friedman denuncia nel New York Times la pericolosa convergenza tra Donald Trump e Benjamin Netanyahu, accusati di sabotare le democrazie americana e israeliana dall’interno. Attraverso la delegittimazione delle istituzioni, il culto della personalità e l’abuso dell’antisemitismo, entrambi minano i valori fondativi dei loro Paesi. Ma Friedman trova speranza nella resistenza della società civile israeliana, e lancia un appello: fermare la deriva autoritaria è la sfida cruciale del nostro tempo.

USA: laboratorio del nuovo autoritarismo

Steven Levitsky, noto politologo di Harvard, analizza la seconda amministrazione Trump come esempio di “autoritarismo competitivo”: una forma di regime che mantiene le apparenze democratiche, ma ne svuota la sostanza. Il cuore del progetto è il controllo diretto dell’apparato statale da parte del presidente, attraverso licenziamenti mirati, repressione selettiva e pressioni su media, le università, la giustizia e le imprese. L’obiettivo non è un golpe tradizionale, ma la neutralizzazione della democrazia dall’interno, sostituendo la separazione dei poteri con una catena di comando personale. Il risultato è una democrazia formale, ma priva di contrappesi. E dunque illiberale. La sfida, avverte Levitsky, è riconoscere e fermare questo processo prima che sia troppo tardi.

La guerra dei dazi, spiegata in politica

L’articolo compara il protezionismo classico americano con quello contemporaneo di Donald Trump, evidenziando profonde discontinuità storiche, politiche e istituzionali. Alla fine dell’Ottocento i dazi favorirono lo sviluppo della giovane industria americana e alimentarono un dibattito acceso, ma pienamente inscritto nel contesto costituzionale e parlamentare. Oggi la “guerra dei dazi” nasce dall’insicurezza economica e dal declino industriale, con una polarizzazione politica centrata sulla figura del presidente e in uno scenario di squilibrio istituzionale. Il protezionismo trumpiano segna una svolta verso la personalizzazione del potere esecutivo e l’uso punitivo del commercio. Strumenti emergenziali, retorica sovranista e azioni unilaterali ridefiniscono il ruolo presidenziale, delineando un nuovo paradigma che sfida le regole multilaterali e le architetture liberali della governance democratica.

L’ombra della Russia sul futuro globale: chi decide le sorti dell’Ucraina?

La recente telefonata tra Vladimir Putin e Donald Trump ha segnato un momento chiave nei rapporti USA-Russia, con il Cremlino che ha salutato l’incontro come l’inizio di un “nuovo ordine mondiale”. Putin ha respinto un cessate il fuoco totale in Ucraina, proponendo invece una tregua parziale che esclude attacchi alle infrastrutture energetiche. La conversazione ha rafforzato l’idea di Mosca come potenza globale con un ruolo decisionale nei conflitti internazionali, spesso senza il coinvolgimento diretto di Kyiv. Mentre la Casa Bianca e il Cremlino forniscono versioni discordanti dell’intesa, il mancato ritiro russo e le restrizioni agli aiuti militari all’Ucraina sollevano dubbi sulle reali intenzioni di Mosca e Washington.

Lo stato di diritto in bilico e l’ombra dell’autoritarismo

L’amministrazione Trump - scrive Stefania Palma sul Financial Times - sfida apertamente il potere giudiziario, sollevando il rischio di una crisi costituzionale. Il Chief Justice John Roberts ha criticato il presidente per le sue minacce ai giudici, mentre la Casa Bianca continua a ignorare sentenze scomode su immigrazione e diritti civili. Trump e i suoi alleati sostengono che i giudici non dovrebbero limitare l’azione dell’esecutivo, sollevando dubbi sul futuro dello stato di diritto. L’assenza di strumenti efficaci per obbligare il presidente al rispetto delle leggi potrebbe minare le fondamenta della democrazia americana, portando il paese verso un pericoloso declino istituzionale

Trump-Putin: Il Ritorno della Diplomazia Brutale

La telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin - scrive Domenico Quirico su La Stampa - riecheggia momenti storici come il dialogo tra Churchill e Roosevelt nel 1941. In un mondo scosso dalla guerra in Ucraina, i due leader si confrontano direttamente, lasciando l’Europa spettatrice impotente. Trump, con la sua diplomazia diretta e brutale, si scontra con l’astuzia strategica di Putin. Dietro la conversazione si delineano accordi taciti e giochi di potere che potrebbero ridisegnare gli equilibri globali, mentre la guerra avanza sul campo. Il mondo assiste, conclude Quirico, consapevole che dalle decisioni di questi due uomini dipenderanno le sorti dell’Ucraina e dell’intero equilibrio geopolitico.

L’Ucraina resiste, l’Europa si rialza: il futuro della democrazia si gioca qui

L’Europa sta vivendo uno dei momenti più critici della sua storia recente: da un lato l’aggressione russa, dall’altro la crescente ostilità degli Stati Uniti di Trump e Vance. Ma anziché cedere allo smarrimento, il continente sta reagendo. Di fronte alla crisi transatlantica - scrive Brendan Simms sul Wall Street Journal - l’Europa accelera la cooperazione strategica e investe miliardi nella difesa. La sua unità e resilienza emergono con forza, mentre l’Ucraina, con la sua resistenza, ne incarna i valori fondamentali. Se gli USA abbandonano il loro ruolo storico, l’Europa potrebbe raccogliere il testimone come baluardo della democrazia globale.

Ucraina. Tra incertezze e logoramento. Riemerge la diplomazia

Domenico Quirico - su La Stampa - analizzando l’evoluzione del conflitto in Ucraina, evidenzia il passaggio da una visione manichea della guerra a un riconoscimento della necessità di trattative. La diplomazia, a lungo marginalizzata, riemerge come opzione inevitabile, sebbene ancora fragile. L’Unione Europea appare incerta, mentre le élite occidentali iniziano a valutare il riarmo. Il ritorno di Trump introduce un altro elemento di instabilità, con il rischio di un ridimensionamento del sostegno statunitense a Kiev. Il dibattito interno all’Occidente si frammenta tra sostenitori della linea dura e fautori del compromesso, mentre la guerra si trasforma in un conflitto di logoramento senza soluzioni nette.

Tesla avverte Trump: i dazi minacciano la competitività dell’industria americana

La casa automobilistica Tesla ha inviato una lettera all’amministrazione Trump avvertendo che le politiche tariffarie statunitensi potrebbero danneggiare la produzione di veicoli elettrici negli USA. L’azienda sottolinea che alcuni componenti essenziali non sono reperibili sul mercato interno e che l’imposizione di dazi aumenterebbe i costi e il rischio di ritorsioni commerciali. Tesla chiede un approccio più equilibrato per evitare di compromettere la competitività americana, evidenziando le sfide di una catena di fornitura globale sempre più interconnessa.

Trump e la giustizia: vendetta, protezione e potere

Jeffrey Toobin analizza, sul New York Times, come Donald Trump abbia trasformato il Dipartimento di Giustizia in un’arma politica. Gli è servito per le sue vendette, epurando procuratori e perseguitando studi legali legati ai suoi avversari. Gli ha consentito di garantire protezione agli alleati, come il sindaco di New York Eric Adams, facendo archiviare le accuse contro di lui. Infine, Trump ha fatto ampio uso politico dei suoi poteri giudiziari, concedendo la grazie ai rivoltosi del 6 gennaio e ad attivisti conservatori. Toobin conclude che il sistema legale americano manca di reali contrappesi per limitare l’abuso di questi strumenti, rendendo l’amministrazione Trump un pericolo per lo stato di diritto.

L’Ucraina e l’Occidente: la prova della verità sulla pace e la sicurezza europea

L’invasione russa dell’Ucraina - secondo Gianfranco Pasquino su Domani - ha reso evidente la distinzione tra conoscenza e disinformazione, tra equidistanza e complicità. Non è possibile costruire la pace senza comprendere la natura dell’aggressione e il ruolo degli autoritarismi. L’Europa deve dotarsi di una politica di difesa autonoma per essere credibile nel suo impegno per la sicurezza. L’indecisione politica e il pacifismo astratto non favoriscono la pace, ma indeboliscono la capacità di risposta agli oppressori, rendendo instabile l’ordine internazionale.

Nichilismo e Gen Z: Crescere negli USA alla fine degli USA

La Gen Z americana - scrive Stephen Amidon su Domani - è la prima generazione a non credere nell’eccezionalismo nazionale. Cresciuta tra crisi globali, disillusione politica e trasformazioni tecnologiche, rifiuta l’idea che l’America sia una nazione speciale. Perfino i giovani sostenitori di Trump esprimono un nichilismo senza precedenti. A differenza delle generazioni passate, non cercano risposte nella storia. Forse, però, tagliare i ponti con il passato è l’unico modo per immaginare un futuro diverso in un Paese che sembra al tramonto.

Le contraddizioni di Trump: una strategia di copertura mediatica

Dall’inizio del suo secondo mandato - scrivono Christina Goldbaum & Reham Mourshed sul New York Times - , Donald Trump ha intensificato l’uso di una strategia comunicativa basata su continue contraddizioni, generando confusione e consentendo al pubblico di scegliere quale versione dei fatti credere. Questa tattica, già evidente nel suo primo mandato, si manifesta su temi interni e di politica estera, creando incertezza e minando la coerenza del dibattito pubblico. Secondo gli esperti, tale ambiguità non è casuale ma rappresenta un metodo per ottenere copertura politica e consolidare il proprio potere decisionale.

Gaza oltre il territorio: visioni geopolitiche tra ironia e proposte concrete

Lucio Caracciolo - in un commento su Repubblica - esplora il modo in cui gli Stati Uniti tendono a trattare le crisi geopolitiche con un approccio pragmatico e transattivo, spesso ignorando la complessità storica e culturale delle regioni coinvolte. Partendo da una satira televisiva del 1975, riflette sulla proposta di Donald Trump di inviare truppe americane a Gaza. L'autore discute anche la possibilità di un'iniziativa europea per accogliere temporaneamente rifugiati palestinesi, evidenziando l’inerzia dell’UE nel contesto del conflitto israelo-palestinese.

USA. Un errore strategico trascurare il soft power e il consenso internazionale

Il potere non è fatto solo di armi ed economia, ma anche della capacità di attrarre e influenzare: è il soft power, che ha spesso determinato il corso della storia più della forza bruta. Joseph Nye - sul Financial Times - analizza il declino del soft power americano sotto Donald Trump, il cui approccio transazionale ha minato valori democratici e alleanze storiche. Mentre la Cina cerca di accrescere la propria influenza globale combinando sviluppo economico e cultura, le divisioni interne e l’erosione delle istituzioni rischiano di compromettere l'attrattiva degli Stati Uniti. Tuttavia, la resilienza democratica americana potrebbe ancora riscrivere la storia.

Il tradimento del Sogno Americano: una riflessione sull'America di Trump 2

Donato Carrisi, sul Corriere della Sera, riflette sul tradimento del sogno americano, esplorando come i simboli di giustizia, libertà e democrazia, un tempo ammirati, siano ora svuotati di significato. Il pensiero di una cultura americana che sembrava autentica e universale viene messo in discussione, in un'era dominata dal cinismo e dall’indifferenza. E' quindi la fine di quello che è stato il soft power americano diffuso in tutto il mondo? Carrisi esprime delusione per la disillusione che ha travolto i suoi sogni generazionali. Denuncia il silenzio degli intellettuali e delle arti di fronte alla crescente manipolazione della realtà e alla prepotenza dei nuovi leader.

Il tecnopopulismo che vuole ridefinire l'America

Un articolo di Mauro Magatti sul Corriere della Sera analizza l’ascesa del tecnopopulismo nichilista negli USA, una sintesi tra populismo, potere tecnologico e religione. L’alleanza tra Trump e i giganti della tecnologia promuove un’ideologia libertaria senza regole e distrugge la nozione stessa di verità. Il vuoto nichilista viene riempito dalla “teologia della prosperità”, che giustifica le disuguaglianze sociali sostenendo che la ricchezza economica è un segno del favore divino mentre la povertà segnala una fede insufficiente. Alla democrazia si sostituisce così un nuovo populismo, basato sulla manipolazione tecnologica del consenso e sulla giustificazione religiosa di una società classista.