L’8 marzo è tradizionalmente una giornata di celebrazione delle conquiste femminili, ma quest'anno - scrive Elsa Fornero su La Stampa - dovremmo chiederci se abbia ancora senso “festeggiare” mentre si addensano nubi sulle nostre democrazie liberali. Sono proprio queste che hanno garantito diritti fondamentali alle donne, riducendo la disuguaglianza di genere e favorendo l’emancipazione economica. Eppure, nonostante l’aumento della partecipazione femminile al mondo del lavoro e il ruolo crescente delle donne in posizioni di responsabilità, si moltiplicano segnali di regressione.
Uno dei fattori più preoccupanti è l’influenza di Donald Trump, il cui atteggiamento misogino ha legittimato un clima di ostilità verso le donne e le minoranze. Il suo ritorno alla ribalta politica ha già prodotto effetti tangibili, come l’abbandono dell’agenda DEI (Diversità, Equità e Inclusione) da parte di molte grandi aziende statunitensi. Questo non colpisce solo la rappresentanza etnica e razziale, ma anche quella femminile, mettendo a rischio il principio di parità nel mondo del lavoro. Un ulteriore passo indietro è rappresentato dalla revoca di una direttiva di Biden contro la discriminazione basata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere, che Trump ha sostituito con una rigida distinzione biologica maschio/femmina.
Mentre correggere gli eccessi della cosiddetta “cultura Woke” può essere utile, non si può negare che molte disuguaglianze abbiano origini sociali profonde, legate al sessismo, al razzismo e alla discriminazione LGBTQ+. Il vero problema è la crescente tendenza a deridere queste battaglie, riducendole a minacce alla “normalità”. Questo atteggiamento pericoloso reintroduce concezioni secondo cui le donne sono fragili e bisognose di protezione, riducendole a ruoli tradizionali funzionali alla loro subordinazione.
Anche se nell’amministrazione Trump le donne occupano circa un terzo delle posizioni apicali, la loro selezione sembra più legata all’adesione a valori conservatori (ad esempio su aborto e diritti di genere) che a un reale impegno per la parità. Inoltre, la presenza di uomini accusati di gravi scorrettezze sessuali tra ministri e funzionari rafforza il timore che questa leadership possa frenare il percorso di emancipazione femminile.
Di fronte a questi segnali, essere elogiate da Trump non è motivo di orgoglio, ma il sintomo di un pericoloso arretramento. Più che una festa, dunque, l’8 marzo dovrebbe trasformarsi in una mobilitazione a difesa dei valori liberaldemocratici, di cui l’uguaglianza di genere è un pilastro fondamentale. La libertà delle donne passa innanzitutto dall’indipendenza economica, resa possibile da istruzione e accesso a carriere un tempo precluse. Tuttavia, barriere culturali che sembravano superate stanno tornando con forza, mettendo in discussione decenni di progressi.
Non sono solo i mutamenti geopolitici a preoccupare, ma anche i cambiamenti interni alle società occidentali. Per questo, in occasione dell’8 marzo, dovremmo prendere consapevolezza della necessità di difendere ogni conquista, senza cedere alla retorica che riduce la lotta per l’uguaglianza a una questione secondaria.
Foto: manifestazione delle donne negli anni 70