Negli ultimi anni - scrive su Domani Sergio Abate -, la trasformazione della politica globale ha assunto contorni che vanno oltre la semplice crisi della democrazia liberale. L’idea di “postdemocrazia” suggerisce una continuità, seppur fragile, con il passato, ma l’evoluzione recente sembra invece portare verso qualcosa di ben più radicale: un sistema in cui la democrazia non è semplicemente svuotata, ma del tutto sostituita.
Donald Trump, più di ogni altro, ha reso evidente questa rottura. Il suo operato non si è limitato a modificare le regole della politica americana, ma ha incarnato una nuova logica di governo basata sulla fusione tra autocrazia statale e capitalismo selvaggio. Più che una postdemocrazia, ci troviamo di fronte a una “ano-democrazia”: un sistema in cui le vecchie regole vengono abbandonate in favore di una gestione puramente predatoria del potere.
Un esempio significativo di questa dinamica è il dibattito sulle terre rare, divenute improvvisamente centrali nella politica internazionale. Questi materiali, essenziali per la tecnologia moderna, sono oggi al centro di una contesa che svela tre aspetti fondamentali del nuovo ordine politico ed economico globale: patrimonialismo, feudalesimo del potere e capitalismo predatorio.
1. Patrimonialismo e la geopolitica della proprietà
Nel passato, le relazioni internazionali si basavano su una logica di influenza e alleanze strategiche. Oggi, invece, prevale un modello rigidamente patrimoniale: chi offre supporto, economico o militare, pretende in cambio territori o risorse. Il possesso diventa l’unico criterio di potere, riducendo la geopolitica a un gioco di Risiko in cui gli stati non sono più attori sovrani, ma semplici pedine di un meccanismo di appropriazione.
Questo modello è evidente nella contesa sulle terre rare, ma si estende anche ad altri territori, dalla Groenlandia a Marte. L'ossessione per la proprietà non è una novità assoluta—gli Stati Uniti hanno costruito la loro potenza sull’espansione territoriale—ma oggi emerge senza più alcun velo ideologico. La pretesa di diffondere la democrazia ha lasciato spazio a una brutalità esplicita, in cui il diritto del più forte è l’unica legge riconosciuta.
2. Feudalesimo del potere: chi comanda detta le regole
Oltre alla logica della proprietà, la nuova configurazione politica si distingue per una regressione feudale. Il potere non si limita più a governare le regole del gioco, ma le impone senza mediazioni. La negoziazione, un tempo elemento chiave della diplomazia e della politica interna, è ormai superata.
L’esempio storico della Conferenza di Yalta, dove le grandi potenze stabilirono un equilibrio di forze, mostra una realtà ormai tramontata. Oggi, chi detiene il potere non solo partecipa al gioco, ma ne stabilisce le regole, rafforzando un sistema in cui ogni resistenza diventa impossibile. Questo modello è chiaramente visibile nell’operato di Trump, che ha trasformato la politica in un’arena in cui vince chi può imporre la propria volontà senza ostacoli.
3. Il capitalismo predatorio e la brutalità dell’estrazione di valore
Infine, la questione delle terre rare evidenzia il terzo aspetto fondamentale della nuova configurazione globale: il capitalismo predatorio. La retorica della “rivoluzione digitale” ha spesso nascosto il fatto che la tecnologia non è un sistema immateriale e finanziarizzato, ma si basa su un’estrazione brutale di risorse e lavoro.
Le terre rare sono emblematiche di questa dinamica. La loro importanza strategica le rende oggetto di una competizione feroce, in cui non valgono più regole di mercato o diritti internazionali, ma solo la capacità di imporsi con la forza. Il capitalismo digitale si fonda su un modello che, in realtà, riproduce i meccanismi più brutali dell’accumulazione originaria descritta da Marx.
Labate sottolinea come, tra la vecchia retorica ipocrita della politica occidentale e la brutalità cinica del trumpismo, si sia perso qualcosa di essenziale: la speranza che la politica possa ancora migliorare la realtà.
Foto: Zelensky nel corso della trattativa finita male sulle terre rare con Trump