Nel giugno scorso il Presidente della CEI Matteo Maria Zuppi, ha preso parte alla presentazione del libro “Chiesa e democrazia” del Mons. Mario Toso, che si è tenuta a Roma all’Università degli Studi Link. Forniamo di seguito un riassunto ragionato del lunghissimo testo, centrandolo soprattutto sullo sviluppo del pensiero cattolico italiano sulla democrazia. La versione integrale dell'intervento è disponibile su chiesacattolica.it.
La Chiesa, sostiene Zuppi, non propone un modello politico confezionato, né cerca di sostituirsi alle istituzioni, ma offre un contributo fondato sulla visione cristiana della persona, sul Vangelo e sulla Dottrina Sociale. Non si tratta dunque di prospettare un modello astratto di democrazia cristiana, bensì di ricordare che la Chiesa può contribuire a dare sostanza alla vita democratica attraverso princìpi come la difesa della persona, la centralità del bene comune, la promozione della responsabilità sociale, l’attenzione ai più deboli, il rispetto delle regole, la tutela della pace e della libertà. La fede non si confina nella sfera privata, ma illumina le scelte pubbliche, invitando a guardare oltre gli interessi particolari e di parte.
Sulle orme del libro di Toso, l’intervento di Zuppi ricostruisce un percorso storico che va dalla fine della Seconda guerra mondiale fino ai nostri giorni, evidenziando documenti, eventi e momenti significativi per il tema della democrazia. Un punto di riferimento imprescindibile è il “Codice di Camaldoli” del luglio 1943, redatto in un periodo drammatico, con il Paese ancora sotto il giogo del regime fascista e la guerra in corso. Il Codice rappresentò un tentativo di delineare princìpi ispirati ai valori cristiani, capaci di orientare la futura ricostruzione su basi rispettose della dignità umana e del bene comune. Questo testo fornì indicazioni per immaginare un ordinamento sociale ed economico al servizio della persona, evitando di ridursi a schemi astratti o ideologici.
Nel 1945, con la guerra appena conclusa e l’Italia impegnata a ricostruire le proprie istituzioni, i cattolici si ritrovarono a Firenze per una Settimana Sociale incentrata su “Costituzione e costituente”. L’obiettivo era sostenere idee e criteri che, ispirati anche al Codice di Camaldoli, orientassero il processo costituente della nascente Repubblica, assicurando spazi di libertà, tutela della dignità umana, partecipazione responsabile. In questa fase, la democrazia doveva prendere forma concreta, e la riflessione dei cattolici mirava a fornire una base valoriale condivisa che non si limitasse ai soli meccanismi istituzionali, ma guardasse alla persona come centro dell’ordinamento.
Anni dopo, mentre il Paese consolidava la propria democrazia, la Chiesa visse un altro momento cruciale con il Concilio Vaticano II (1962-1965). Non si trattava di un evento politico, ma di una lettura dei segni dei tempi e di un dialogo più aperto con il mondo contemporaneo. Il Concilio offrì princìpi che i cattolici avrebbero potuto portare nella vita democratica: riconoscimento dell’autonomia delle realtà temporali, libertà religiosa, promozione della persona, diritti fondamentali, responsabilità condivise per il bene comune. La Chiesa non si chiudeva in se stessa, ma incoraggiava i credenti a condividere, nella società, una visione dell’uomo capace di dare senso e orientamento all’azione politica.
Durante il Concilio, nel 1964, si svolse a Pescara e la Settimana Sociale su “Persone e bene comune nello stato contemporaneo”. Fu un’occasione per riprendere i princìpi del Codice di Camaldoli e della Settimana Sociale di Firenze alla luce del Concilio. Si trattava di capire come l’ordinamento statale potesse valorizzare la persona, non solo in termini formali, ma mediante politiche e strutture orientate realmente al bene comune. Questa prospettiva entrava in sintonia con quanto insegnato da Giovanni XXIII in “Pacem in terris”, dove veniva sottolineata l’importanza dei diritti della persona, la necessità di garantire una convivenza pacifica fra i popoli, la centralità della giustizia e la costruzione di rapporti internazionali più armonici.
Negli anni 70 e 80, il cattolicesimo italiano attraversò divisioni e tensioni interne e le Settimane sociali furono sospese. Ma quando ripresero (segnatamente, in parallelo al declino del partito della Democrazia Cristiana—ndr) esse tornarono a parlare di democrazia. Nel 1993, a Torino, la Settimana Sociale dedicata a “Identità nazionale, democrazia e bene comune” evidenziava l’esigenza di interpretare la realtà di un Paese in trasformazione, esplorando il legame fra il patrimonio culturale, il tessuto civile e le istituzioni democratiche. Da un lato, la democrazia italiana era una realtà consolidata; dall’altro, serviva mantenerla viva, non soltanto come ordinamento formale, ma come sistema in cui cittadini e comunità potessero riconoscersi, sentendosi parte di un progetto comune. Questa riflessione partiva dalla convinzione che l’identità nazionale non fosse un dato immutabile, bensì un continuo processo di costruzione, in cui la dimensione morale e spirituale offerta dalla visione cristiana potesse avere un ruolo rilevante.
Nel 2004, a Bologna, la Settimana Sociale si concentrò su “Democrazia: nuovi scenari, nuovi poteri”. Era un momento caratterizzato da profonde modifiche negli assetti politici ed economici, dalla globalizzazione, dallo sviluppo tecnologico e dalla complessità delle relazioni internazionali. La democrazia non poteva essere considerata un dato acquisito una volta per tutte: andava compresa e interpretata alla luce delle trasformazioni in corso, non subite passivamente ma lette con occhi critici. I cattolici potevano proporre un approccio che aiutasse a individuare nuovi percorsi di responsabilità, coesione, salvaguardia dei diritti fondamentali.
Si arriva così alla 50a Settimana Sociale dei cattolici in Italia, svoltassi a Trieste nel 2024, dedicata a “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro”. Il titolo stesso indica la necessità di radicarsi nella memoria, senza però limitarsi ad essa, per guardare con consapevolezza e speranza al domani, sollecitando una presa di coscienza più matura. Il filo rosso che lega questi momenti è la ricerca di una democrazia che non sia semplice struttura formale, ma sappia mettere davvero la persona al centro, evitare riduzioni tecnicistiche e lasciare spazio alla dimensione morale e spirituale.
Tutta questa storia, conclude il Presidente della CEI, evidenzia come il pensiero ecclesiale sulla democrazia sia stato alimentato da un confronto continuo con i mutamenti sociali, la vita del Paese, i processi internazionali. Oggi la Chiesa invita a non considerare la democrazia un mero dato tecnico, bensì un contesto in cui far maturare princìpi e valori condivisi, radicandola nel rispetto della persona, nella responsabilità sociale, nella ricerca incessante del bene comune. L’invito è a non appiattire la democrazia su interessi parziali, a non dimenticare le ragioni ultime della convivenza civile. Come dice Zuppi in un passaggio cruciale del suo intervento:
“Ecco due elementi da recuperare nelle nostre democrazie: il passo spedito verso la giustizia sociale e il passaggio dal parteggiare al partecipare. A ben pensarci sono due conversioni che ci riguardano da vicino. La qualità della democrazia si gioca intorno alla capacità di valorizzare questi atteggiamenti. La nostra nasce da Camaldoli. Non solo, ma da lì. È questo lo spirito che pensiamo indispensabile, anche pensando alla necessità di una Camaldoli europea. Occorre combattere gli squilibri occupazionali e distributivi che sono frutto di disuguaglianze crescenti. Inoltre la fraternità è negata dalla “terza guerra mondiale a pezzi” e dalle chiusure rispetto ai flussi migratori. Eppure, c’è uno stretto rapporto tra democrazia e libertà: la prima non può esistere senza la seconda e può svilupparsi solo se si sprigiona da una libertà responsabile e solidale.”