Antimaka s.f.: nome immaginario composto da anti (contro) e mache (battaglia). Evoca una figura mitologica che ripudia la guerra, lottando per la pace e la giustizia.

L’industria bellica USA guadagna mentre l’UE si riarma: strategie e interessi in gioco

L’Unione Europea - scrive Luca Liverani in un articolo inchiesta realizzato per l'Avvenire - accelera il riarmo, aumentando gli investimenti militari, ma la maggior parte delle armi proviene dagli Stati Uniti, favorendo l’industria bellica americana. Mentre l’Europa discute sulla creazione di un’industria della difesa più autonoma, persistono dipendenze strategiche e interessi economici che avvantaggiano Washington. Il dibattito tra sicurezza, autonomia e affari militari resta aperto.

Negli ultimi anni, - scrive Luca Liverani in un articolo inchiesta realizzato per l'Avvenire - l'Unione Europea (UE) ha avviato una significativa accelerazione nel rafforzamento delle proprie capacità di difesa, spinta da crescenti minacce geopolitiche e dall'esigenza di garantire la sicurezza dei suoi Stati membri. Tuttavia, questa corsa al riarmo ha evidenziato una forte dipendenza dalle industrie belliche statunitensi, sollevando interrogativi sull'autonomia strategica dell’Europa e sulle implicazioni economiche di tali scelte.  

Secondo dati recenti, negli ultimi cinque anni i Paesi europei membri della NATO hanno più che raddoppiato le loro importazioni di armi, con il 64% di queste provenienti dagli Stati Uniti. Questo incremento è stato determinato principalmente dalla necessità di rafforzare le capacità difensive in risposta a minacce esterne, come l’aggressione russa in Ucraina. Di conseguenza, l’Europa ha superato il Medio Oriente come principale mercato per le armi statunitensi, rappresentando il 35% delle esportazioni militari americane nel periodo 2020-2024.  

Paesi come Italia, Regno Unito, Belgio, Paesi Bassi e Danimarca hanno investito ingenti risorse nell’acquisto di equipaggiamenti militari statunitensi, tra cui gli aerei da combattimento F-35 e i sistemi di difesa aerea Patriot. Questa tendenza sottolinea una crescente dipendenza tecnologica e operativa dall’industria bellica americana, con possibili ripercussioni sulla sovranità decisionale europea in ambito militare.  

L'afflusso di capitali europei verso l’industria bellica statunitense non solo comporta un significativo trasferimento di risorse economiche, ma crea anche una potenziale vulnerabilità strategica. La dipendenza da forniture esterne potrebbe limitare la capacità dell’UE di rispondere autonomamente a crisi future e influenzare le sue scelte politiche e militari.  
Inoltre, l’industria della difesa europea, caratterizzata da frammentazione e mancanza di coordinamento, rischia di perdere terreno rispetto ai colossi americani. Attualmente, oltre l’80% degli investimenti nel settore della difesa europea è destinato all’acquisto di attrezzature pronte all’uso da produttori non europei, indebolendo la base industriale e tecnologica del continente.  

Per affrontare queste sfide, l’UE sta discutendo strategie per rafforzare la propria industria della difesa e ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti. Tuttavia, la realizzazione di una politica di difesa comune richiede maggiore integrazione e standardizzazione tra gli Stati membri. Attualmente, l’UE presenta una notevole eterogeneità nei propri sistemi militari, con 12 modelli diversi di carri armati e una varietà di caccia e fregate spesso non interoperabili tra loro.  

L'obiettivo fissato per il 2035 è che il 60% degli acquisti militari sia prodotto dall’industria europea, con almeno il 40% sviluppato attraverso collaborazioni tra Stati membri. Ciò richiede una pianificazione a lungo termine e investimenti significativi in ricerca e sviluppo per garantire che l’industria della difesa europea possa competere efficacemente a livello globale.  

Solo attraverso una collaborazione più stretta e una pianificazione integrata l’Europa potrà garantire la propria sicurezza senza compromettere la sovranità economica e politica dei suoi Stati membri.

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