L’uso della Bibbia in politica è una tradizione consolidata negli Stati Uniti, ma - scrive su Avvenire Paolo Naso - quando il testo sacro viene strumentalizzato per fini elettorali o ideologici, il rischio di snaturarne il messaggio diventa evidente. L’amministrazione Trump ha portato questa pratica all’estremo, come dimostrato dalla sponsorizzazione di un’edizione della Bibbia con la scritta “Dio benedica gli Usa” e dalla creazione di un “Ufficio per la fede” diretto dalla predicatrice Paula White. Queste azioni non sono semplici riferimenti alla religione, ma una vera e propria operazione di legittimazione politica attraverso il linguaggio religioso.
Negli Stati Uniti, l’influenza della Bibbia nella sfera pubblica ha radici profonde. I padri pellegrini che nel XVII secolo fondarono le colonie puritane avevano la Bibbia come guida spirituale e politica. Roger Williams e William Penn l’adottarono per difendere la libertà religiosa, mentre gli abolizionisti dell’Ottocento e i leader del movimento per i diritti civili negli anni ’50 e ’60 si ispirarono ai suoi valori di giustizia e uguaglianza. Ancora oggi, gruppi cristiani utilizzano il messaggio biblico per aiutare i migranti, come dimostrano i Samaritani, volontari che operano alla frontiera tra Stati Uniti e Messico.
Se dunque la Bibbia ha storicamente alimentato progetti politici basati sulla giustizia e la libertà, il problema nasce quando essa viene ridotta a una piattaforma ideologica. Il primo rischio è quello di trasformarla in un codice normativo rigido, un insieme di leggi universali che ne tradiscono la natura profonda. La Bibbia non è un manuale di leadership né un codice penale: è una narrazione che interpella l’essere umano, lo mette in discussione e lo invita alla libertà di interpretazione.
Un altro pericolo è ignorare il messaggio centrale della Bibbia: l’amore di Dio per tutti gli esseri umani e per il creato. Nella storia, il testo sacro è stato spesso manipolato per giustificare ingiustizie, come nel caso dell’apartheid sudafricano o della tratta degli schiavi. Oggi, la teologia della prosperità, sostenuta da alcuni esponenti della destra cristiana americana, trasforma la fede in uno strumento per legittimare il benessere materiale e il nazionalismo cristiano, ignorando il pluralismo e la solidarietà.
In questo contesto, l’uso della Bibbia da parte della politica americana contemporanea rischia di trasformarsi in una parodia del suo messaggio originario. Trump, definendosi “facitore di pace” per la sua proposta di trasformare Gaza in una meta turistica, o attribuendo il suo scampato attentato a un disegno divino, mostra un’interpretazione strumentale del testo sacro. La presenza di Elon Musk come esponente tecnocratico e di Paula White come guida spirituale della nuova amministrazione conferma questa dicotomia tra potere e religione, che rischia di ridurre la fede a una questione di immagine e propaganda.
La Bibbia è un testo complesso, che non offre risposte semplici ma pone domande profonde. È un libro da studiare e interpretare con rispetto, non da usare come uno strumento di potere. Chi fa politica spesso preferisce certezze assolute e slogan efficaci, ma la fede autentica richiede dubbio, riflessione e conversione. Se non si ha il tempo o la volontà di affrontare questo percorso, sarebbe meglio riporre la Bibbia in un cassetto piuttosto che abusarne per fini politici.
Foto: Trump in un video pubblicato su Facebook dove ringrazia gli evangelici e promette di "non deluderli mai".