Antimaka s.f.: nome immaginario composto da anti (contro) e mache (battaglia). Evoca una figura mitologica che ripudia la guerra, lottando per la pace e la giustizia.

Il Washington Post e la nuova era Bezos: giornalismo o megafono del potere?

L'annuncio di Jeff Bezos di ridefinire la linea editoriale del Washington Post solleva interrogativi sul futuro del giornalismo indipendente. Il nuovo orientamento, incentrato su libertà personali e liberi mercati, esclude punti di vista opposti, facendo temere un'influenza politica legata agli interessi economici del proprietario di Amazon. Il caso si inserisce in un più ampio riassetto mediatico in favore di Trump, con piattaforme come Facebook e X che riducono la moderazione dei contenuti, rafforzando la polarizzazione dell’informazione.

Quando Donald Trump divenne presidente degli Stati Uniti nel 2016, - scrive Alexander Stille su Repubblica,  l’allora direttore del Washington Post, Martin Baron, dichiarò che il giornale non era "in guerra", ma semplicemente "al lavoro". In quegli anni, il quotidiano mantenne un forte ruolo di watchdog del potere, rivelando inchieste di grande impatto, in linea con la sua tradizione, come dimostrato nel caso Watergate. Il proprietario Jeff Bezos, fondatore di Amazon, sembrava inizialmente condividere questa missione, tanto da suggerire lo slogan "La democrazia muore nelle tenebre", poi adottato ufficialmente dal giornale.  

Tuttavia, la recente dichiarazione di Bezos rappresenta una svolta drastica per il Post. L’editore ha annunciato che il giornale d’ora in avanti sosterrà due pilastri fondamentali: le libertà personali e i liberi mercati. Bezos ha inoltre specificato che, sebbene verranno trattati anche altri argomenti, le opinioni contrarie a questi principi non avranno spazio nelle pagine del quotidiano. Questo cambio di rotta ha suscitato reazioni forti, soprattutto da parte di Martin Baron, che ha definito la mossa un atto di "estrema vigliaccheria", attribuendola al timore di Bezos di ritorsioni economiche per i suoi altri affari.  

Sotto la guida di Baron, durante la presidenza Trump, il Washington Post aveva triplicato gli abbonamenti digitali da uno a tre milioni e aveva ottenuto diversi premi Pulitzer per le sue inchieste. Bezos, però, è convinto che proprio la linea critica del giornale abbia danneggiato gli affari di Amazon, portando l’amministrazione Trump a negare all’azienda un contratto governativo da 10 miliardi di dollari.  

Non è ancora chiaro se questo cambiamento editoriale modificherà concretamente il lavoro dei giornalisti del quotidiano. Il Post ha recentemente pubblicato un’inchiesta di grande rilevanza sui legami tra le aziende di Elon Musk e il governo statunitense, evidenziando come Musk abbia ricevuto 38 miliardi di dollari in contratti, sussidi e crediti d’imposta negli ultimi vent’anni. Tuttavia, la nuova direzione tracciata da Bezos solleva dubbi sulla futura indipendenza della testata. Secondo Margaret Sullivan, ex editorialista del Post, Bezos non vuole più possedere un giornale libero, ma un megafono al servizio dei suoi interessi politici ed economici.  

L’impatto di questa svolta è già evidente: durante le elezioni presidenziali del 2024, Bezos ha bloccato la pubblicazione di un editoriale che appoggiava Kamala Harris, sancendo una dichiarazione di neutralità politica che ha portato 250.000 utenti a cancellare i propri abbonamenti. 

Ma il caso del Post non è isolato: altre grandi aziende mediatiche sembrano voler riequilibrare i propri rapporti con Trump. Il canale MSNBC, di proprietà di Comcast, ha licenziato molte delle sue figure più liberal. Disney, che controlla ABC, ha accettato di pagare 15 milioni di dollari a Trump per chiudere una causa che molti ritenevano potesse essere vinta. La disputa era nata dopo che un giornalista di ABC aveva dichiarato in onda che Trump era colpevole di stupro, basandosi sulla condanna dell’ex presidente per aggressione sessuale.  

Anche il mondo dei social media sta rivedendo i propri equilibri. Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, ha pagato 25 milioni di dollari per chiudere una causa legata alla rimozione di Trump dalla piattaforma dopo l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021. Zuckerberg ha inoltre annunciato che Facebook non si impegnerà più nella moderazione dei contenuti, allentando le restrizioni su hate speech, linguaggio violento e disinformazione. Il team responsabile della moderazione è stato spostato dalla California, stato liberal, al Texas, roccaforte repubblicana. Nel frattempo, Twitter (ora X) è stato acquistato da Elon Musk e trasformato in una piattaforma favorevole all’amministrazione Trump.  

Bezos ha scelto proprio X per annunciare la nuova linea editoriale del Washington Post, un dettaglio che non sembra casuale. Tra le dichiarazioni più controverse del suo messaggio, spicca l’idea che i giornali non abbiano più bisogno di ospitare molteplici punti di vista, poiché il dibattito pubblico avverrebbe ormai su internet. Questa affermazione ignora però un aspetto fondamentale: mentre i media tradizionali devono rispettare standard di accuratezza e possono essere citati per diffamazione, le piattaforme social operano in un contesto normativo più permissivo, grazie a una clausola del Communications Act del 1996 che le esonera da responsabilità sui contenuti pubblicati dagli utenti.  

Uno studio del MIT ha dimostrato che le fake news si diffondono il 70% più velocemente delle notizie vere sui social. Un’indagine interna di Facebook ha rivelato che il 64% delle adesioni ai gruppi estremisti sulla piattaforma era dovuto ai suoi algoritmi di raccomandazione. Inoltre, su X, il 10% degli utenti genera il 90% dei post, mentre su Facebook il 20% più attivo produce il 75% dei contenuti. Questo significa che una minoranza radicalizzata può monopolizzare il dibattito, facendo sembrare idee estreme più diffuse di quanto non siano realmente.  

In passato, testate come il Washington Post fornivano un contrappeso alla crescente polarizzazione, dando spazio a voci diverse in un confronto civile. La scelta di Bezos di restringere il campo delle opinioni rischia di minare questa funzione. Martin Baron si chiede: se il nuovo Post sarà pro-America, significa forse che chi non condivide la sua linea sarà considerato antiamericano?  

Anche la posizione del giornale sui liberi mercati solleva domande: verranno discusse in modo critico le posizioni monopolistiche di aziende come Amazon? Sotto l’amministrazione Biden, la Federal Trade Commission ha avviato cause contro Apple, Facebook e Google per pratiche anti-concorrenziali. Ma il concetto di libero mercato sostenuto dalla FTC potrebbe trovare poco spazio nel nuovo corso del Post.  

Infine, lo scenario globale non è incoraggiante. L’amministrazione Trump ha già dimostrato di voler usare il potere economico come strumento di pressione politica. L’Europa, con i suoi 450 milioni di abitanti, rappresenta l’unico mercato abbastanza grande da poter resistere a questa nuova forma di capitalismo monopolistico. L’UE ha imposto miliardi di dollari di multe a giganti come Apple e Google per pratiche anticoncorrenziali. Tuttavia, Zuckerberg ha già dichiarato che intende collaborare con Trump per contrastare la regolamentazione europea, definendola una minaccia per le aziende americane.  

La domanda che resta aperta è se la democrazia stia davvero morendo nelle tenebre o, come suggerisce la nuova direzione del Post, alla luce del sole.

Foto:  Jeff Bezos - Creative commons license "Daniel Oberhaus, 2019