Fin dal suo ritorno alla Casa Bianca, - scrivono Christina Goldbaum & Reham Mourshed sul New York Times - Donald Trump ha affinato una tattica comunicativa basata su continue contraddizioni, confondendo il pubblico e creando narrazioni alternative sui temi più rilevanti della politica interna ed estera. Questo approccio gli consente di mantenere il controllo del discorso pubblico, fornendo ai suoi sostenitori e critici versioni multiple della realtà tra cui scegliere.
Trump ha sempre fatto uso di distorsioni e falsità, ma nel suo secondo mandato questa strategia è diventata ancora più evidente e aggressiva. Secondo Julian E. Zelizer, professore di storia a Princeton, il presidente sfrutta la natura dell’informazione moderna, che permette alle persone di selezionare le versioni della realtà che preferiscono. La sua strategia, quindi, non mira necessariamente a creare contraddizioni, ma a garantire una copertura politica, impedendo agli avversari di incastrarlo in una posizione definita.
Uno degli esempi più lampanti si è verificato nelle prime ore del suo nuovo mandato, quando ha graziato i rivoltosi del 6 gennaio, nonostante si dichiari un sostenitore delle forze dell’ordine. Ha poi attaccato le politiche di diversità ed equità, attribuendo la colpa di un incidente aereo sul Potomac a un presunto indebolimento degli standard a causa dell’inclusione. Tuttavia, poche ore dopo, ha attenuato le sue dichiarazioni, sostenendo che il problema poteva essere più legato all’incompetenza che alla diversità.
Le contraddizioni si estendono anche alla gestione della cultura e delle minoranze. Dopo aver smantellato programmi federali per l’uguaglianza e vietato l’uso di risorse militari per celebrare il Black History Month, Trump ha poi organizzato una cerimonia ufficiale alla Casa Bianca in onore della ricorrenza.
Le sue dichiarazioni sulla politica estera sono altrettanto altalenanti. Dopo aver affermato che gli Stati Uniti avrebbero sequestrato Gaza, espulso la popolazione palestinese e trasformato l’area in un centro turistico, ha rivisto la sua posizione più volte, arrivando infine a dire che si trattava solo di un suggerimento. Un altro episodio controverso si è verificato quando ha dichiarato il suo sostegno all’autodeterminazione della Groenlandia, affermando che gli Stati Uniti avrebbero accolto il territorio nel proprio dominio se avesse scelto di unirsi all’America. Tuttavia, poco dopo, ha lasciato intendere che l’acquisizione poteva avvenire anche senza consenso.
In merito all’Ucraina, Trump ha inizialmente definito il presidente Zelensky un “dittatore senza elezioni” in un post sui social media, salvo poi ritrattare e mettere in dubbio di averlo mai detto.
Secondo la Casa Bianca, queste apparenti incoerenze sarebbero in realtà una dimostrazione dell’abilità di Trump come negoziatore, capace di adattare il suo messaggio a seconda delle circostanze. Una portavoce ha dichiarato che la sua retorica rispecchia le preoccupazioni degli americani e che il suo stile comunicativo diretto è parte del suo successo.
Tuttavia, molti esperti vedono in questa strategia un pericolo per la democrazia. Tony Schwartz, co-autore del libro “The Art of the Deal”, ha affermato che per Trump la verità non è mai stata una priorità, bensì la dominazione del discorso. Jason Stanley, professore a Yale ed esperto di propaganda, ha evidenziato che la costante contraddizione mina la coerenza del dibattito pubblico e la capacità collettiva di prendere decisioni informate. Se non esiste una realtà condivisa, sostiene Stanley, il potere decisionale resta esclusivamente nelle mani di chi genera il caos.
In definitiva, la strategia comunicativa di Trump non è casuale, ma risponde a un preciso intento politico: creare ambiguità, fornire copertura alle sue azioni e disorientare il pubblico. Il risultato è una realtà fluida e manipolabile, dove la verità diventa secondaria rispetto alla sua capacità di mantenere il controllo della narrazione.
Foto: Donald Trump, dai social della Casa Bianca