Bill Clinton ha commemorato alla Columbia University Yitzhak Rabin, il leader israeliano che, secondo lui, più di ogni altro seppe incarnare la difficile arte di tenere insieme sicurezza e dialogo. Il Foglio pubblica il suo intervento.
“Rabin ci lasciò una lezione immortale”, ha detto l’ex presidente americano: “Combattere il terrorismo come se non ci fossero negoziati, e negoziare come se non ci fosse terrorismo”.
Clinton ha ricordato la notte del 4 novembre 1995, “uno dei giorni peggiori della mia presidenza e della mia vita”. Rabin era stato a Washington pochi giorni prima per un premio, e la sua immagine — sobria, ironica, riluttante al cerimoniale — rimase l’ultima fotografia che Clinton conserva di lui. Quando il consigliere Tony Lake gli comunicò che Rabin era stato colpito da un estremista israeliano, “capì dal suo volto che era morto”.
Nel discorso, Clinton ha intrecciato ricordo personale e riflessione politica. Rabin, ha detto, “era un patriota, un soldato coraggioso, ma soprattutto un uomo capace di imparare”. Il suo percorso — da generale vincitore della guerra dei Sei Giorni a premier della pace — fu quello di un leader che comprese come la sicurezza di Israele non potesse fondarsi sull’occupazione. “Capì che mantenere il controllo dei territori conquistati nel ’67 non rafforzava la nostra sicurezza, ma ci rendeva più vulnerabili. E capì che, se Israele avesse negato ai palestinesi il diritto di voto, sarebbe rimasto ebraico ma non più democratico; se glielo avesse concesso, sarebbe stato democratico ma non più ebraico. Per questo scelse la pace.”
Clinton ha rievocato la storica stretta di mano con Yasser Arafat sul prato della Casa Bianca nel 1993. All’inizio, Rabin non voleva stringergli la mano. “Gli dissi: sei tu che hai deciso di fare la pace, non puoi farla a metà. Sarai davanti a un miliardo di persone: se hai scelto di farlo, fallo davvero.” Rabin accettò, e quella stretta divenne simbolo di un mondo possibile.
Clinton ha ricordato anche la dedizione con cui Rabin sostenne Arafat e re Hussein di Giordania dopo gli accordi di Oslo, e il suo impegno concreto per migliorare la vita quotidiana dei palestinesi. “La sua parola valeva più di qualsiasi contratto scritto. Quando diceva qualcosa, lo pensava davvero.”
Ma la pace non ebbe il tempo di consolidarsi. L’omicidio di Rabin segnò un punto di svolta: “Gli assassini politici raramente ottengono ciò che vogliono, ma quasi sempre riescono a fermare il progresso per un’intera generazione.” Clinton ha evocato i successivi tentativi falliti di rilanciare il processo di pace — da Barak a Sharon, da Olmert ad Arafat — fino al presente, “un Medio Oriente ancora lacerato da guerre e da un nuovo bagno di sangue a Gaza”.
Rivolgendosi agli studenti, Clinton ha esortato a “non cercare di ricreare ciò che eravamo, se oggi non possiamo farlo”, ma a ripartire da ciò che resta vivo della lezione di Rabin: la fiducia, il compromesso, il riconoscimento dell’umanità dell’altro. “Rabin divenne un soldato della pace. Credeva che la vittoria più grande si ottenesse sul campo di battaglia del cuore umano.”
Concludendo, Clinton ha ricordato l’amico con le parole pronunciate trent’anni fa al funerale di Gerusalemme: “Shalom, haver — addio, amico mio.” Poi ha aggiunto: “Trent’anni fa ho perso un amico. Ma il mondo ha perso un leader la cui visione è più necessaria che mai.”
Immagine: Israeli Prime Minister Yitzhak Rabin, U.S. president Bill Clinton, and PLO chairman Yasser Arafat.