Antimaka s.f.: nome immaginario composto da anti (contro) e mache (battaglia). Evoca una figura mitologica che ripudia la guerra, lottando per la pace e la giustizia.

Davvero non c’è alternativa all’atavica logica amico-nemico?

“A un secolo di distanza, nel cuore del mondo globalizzato, l’atavica logica amico-nemico ritorna con la sua stolida pretesa: non c’è alternativa. Ciò che si dimentica è che l’essere umano è sì capace di uccidere, di offendere, di vendicarsi. Ma è capace anche di altre azioni. Di fermare l’automatismo. È capace, cioè, di essere libero.” Con queste parole, Mauro Magatti riassume su Avvenire l’urgenza di interrompere la spirale di violenza e la tendenza a normalizzare la guerra come un destino inevitabile.


Nel suo editoriale "Le domande che possono invertire la logica delle armi" (Avvenire 19 ottobre 2024), Magatti riflette sul contesto internazionale, segnato dai conflitti in Ucraina e Medio Oriente, e sulla pervasività della guerra nella cultura e nelle relazioni globali. Dopo due anni e mezzo di conflitto in Ucraina e un anno dall’attacco del 7 ottobre in Israele, osserva come il linguaggio bellico sia ormai integrato nella quotidianità, con innumerevoli giustificazioni e normalizzazioni della violenza. La guerra, diffondendosi come un “virus”, conquista la mente e il cuore delle persone, trasformandosi in una sorta di destino ineluttabile.

Richiamando il pensiero del filosofo Henri Bergson, Magatti evidenzia i rischi della “meccanizzazione dello spirito” e dell’automatismo violento che caratterizzano l’era contemporanea. Citando Bergson, scrive: “Cosa sarebbe una società che obbedisse automaticamente a una parola d’ordine trasmessa meccanicamente... e che avesse perduto, con il senso della giustizia, la nozione di verità?” Egli riflette su come questa dinamica, una volta innescata, segua la logica dell’inevitabilità e possa fermarsi solo con la “vittoria finale”, una soluzione che molti analisti sostengono come unica via d’uscita.

Magatti formula quindi quattro domande cruciali per sfidare questa logica di guerra. La prima riguarda la misura della risposta militare: anche in caso di attacco disumano, come quello subito da Israele, occorre chiedersi fino a che punto sia giustificabile una reazione violenta.

La seconda domanda verte sull’importanza di preservare le istituzioni internazionali, come l’ONU, viste come strumenti imperfetti ma indispensabili per mantenere un equilibrio globale. Magatti si chiede: “Come si può pensare a un qualche futuro insieme senza restituire centralità alle istituzioni internazionali?”

Le ultime due domande sollevano i temi di diplomazia creativa e risoluzione pacifica delle dispute territoriali. Egli auspica che la politica trovi soluzioni innovative per prevenire conflitti, dato che non si è ancora inventato un metodo di dialogo che sostituisca la guerra per risolvere le questioni territoriali. In conclusione, Magatti invita alla “lucidità” di porre queste domande come passo per preservare la libertà e fermare l’automatismo della violenza.

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