La crisi dell’industria europea, - scrive Marco Palombi sul Fatto Quotidiano - in particolare quella tedesca, ha aperto la strada a un’importante riconversione produttiva: trasformare le aziende manifatturiere, in particolare quelle del settore automobilistico, in fornitori dell’industria della difesa. Questo processo è al centro del piano non ufficiale Rearm Europe, che prevede investimenti fino a 800 miliardi di euro nella spesa militare, favorendo soprattutto le imprese tedesche.
Negli ultimi anni, l’industria automobilistica tedesca ha subito un calo significativo delle vendite, dovuto a diversi fattori: il crollo della domanda europea per via delle politiche di austerità, il dieselgate che ha ridotto il mercato statunitense e la crescente chiusura della Cina. In questo contesto, aziende come Rheinmetall stanno emergendo come nuovi giganti industriali, con un fatturato raddoppiato tra il 2021 e il 2024 e ordini per oltre 55 miliardi di euro. La società sta assumendo migliaia di lavoratori e convertendo impianti civili in stabilimenti per la produzione di veicoli militari. Anche Volkswagen ha iniziato a valutare un ritorno alla produzione di mezzi blindati.
Altri esempi di riconversione si moltiplicano in tutta Europa. La joint venture franco-tedesca KNDS ha acquisito uno stabilimento in Sassonia per produrre componenti militari, mentre governi come quello italiano sperano che l’aumento della spesa militare possa offrire un’opportunità di rilancio per le industrie in crisi. Ministri come Giancarlo Giorgetti e Adolfo Urso hanno proposto incentivi alle aziende dell’automotive per convertirsi alla difesa e alla sicurezza.
Tuttavia, emergono diversi problemi. *Rearm Europe* non è un vero piano coordinato di difesa europea, ma un incentivo al riarmo nazionale, con la Germania in posizione dominante grazie alla sua maggiore capacità di spesa. Questo potrebbe ridurre l’industria italiana e di altri Paesi a un ruolo di subfornitura per i colossi tedeschi. Inoltre, l’effettivo impatto economico della spesa militare è incerto: mentre alcune fonti parlano di moltiplicatori economici elevati, analisi come quella di Goldman Sachs stimano un ritorno più contenuto, di 50 centesimi di PIL per ogni euro investito.
Infine, resta aperta la questione della sostenibilità di questa strategia nel lungo periodo: gli arsenali si riempiono una volta sola e la domanda di armamenti non è infinita, a meno che non si entri in un ciclo continuo di conflitti.
Foto: Krauss-Maffei Wegmann GmbH & Co. KG