Antimaka s.f.: nome immaginario composto da anti (contro) e mache (battaglia). Evoca una figura mitologica che ripudia la guerra, lottando per la pace e la giustizia.

Le critiche alla Corte Penale Internazionale tra ignoranza e propaganda

ICC
Giuliano Ferrara ha recentemente pubblicato un articolo durissimo sul mandato d’arresto per Netanyahu e Gallant emesso dalla Corte Penale Internazionale. Il testo presenta una visione ideologica e politicizzata del conflitto israelo-palestinese e ignora le problematiche strutturali del modello di “democrazia etnica” vigente in Israele. Soprattutto, la distorsione del ruolo della Corte rivela l'ignoranza dei termini giuridici del problema e un intento decisamente propagandistico.

1. L’articolo di Giuliano Ferrara uscito su su Israele.net adotta una narrazione fortemente emotiva e polarizzante sul conflitto israelo-palestinese, utilizzando un linguaggio polemico, come l’espressione “grinfie di svitati” riferita alla Corte Penale Internazionale (CPI), e definendo Israele un “piccolo stato-rifugio” vittima dell’aggressione giudiziaria internazionale. I leader palestinesi vengono liquidati come “capi terroristi” senza approfondire il contesto del conflitto. Questo linguaggio compromette l’obiettività, trasformando l’analisi in retorica propagandistica. L’uso di termini caricati minimizza le responsabilità israeliane e riduce la complessità del conflitto a una dicotomia semplicistica tra bene e male.

2. Ferrara inoltre celebra Israele come uno "stato democratico” unito nella difesa contro il terrorismo, citando le posizioni di figure provenienti dall’opposizione a Netanyahu come Lapid e Gantz per corroborare questa immagine. Si ignora così la natura di Israele come democrazia etnica": un modello politico dai tratti illiberali se non apertamente autoritari, che privilegia il gruppo etnico ebraico e discrimina sistematicamente i cittadini palestinesi. Inoltre, citare ex leader dell’opposizione senza menzionare il loro sostegno alle politiche discriminatorie e militariste di Netanyahu rende la narrazione distorta e parziale. In realtà proprio le posizioni di Lapid e Gantz dimostrando che l’"unità democratica" descritta nel testo è una semplificazione fuorviante.

3. Il cuore dell’articolo consiste nell’accusa alla Corte Penale Internazionale (CPI) di agire con intenti ideologici e politici per colpire Israele, perseguendo i suoi leader per motivi di “risentimento giuridico” verso l’Occidente. Si sostiene che le sue azioni ignorino le necessità di autodifesa di Israele. Questo travisa il ruolo della CPI, che agisce sulla base di accuse documentate. I mandati d’arresto contro Netanyahu e Gallant sono legati a violazioni accertate del diritto internazionale, relative ai diritti umani nei Territori Occupati, dove Israele esercita un controllo effettivo. Ignorare la documentazione di potenziali crimini di guerra compromette la credibilità dell’argomentazione e perpetua un’idea di impunità per Israele.

4. Nel merito, Ferarra afferma che Israele e gli Stati Uniti, non riconoscendo la giurisdizione della CPI, non sono soggetti alla sua giurisdizione, insinuando che i mandati d’arresto sarebbero invalidi. Questo omette di ricordare che le norme internazionali si applicano ai Territori Occupati, dove Israele esercita un controllo effettivo. Ignorare le basi legali dei mandati d’arresto rafforza una narrativa di eccezionalismo, in contrasto con il principio di uguaglianza davanti alla legge internazionale.

5. Ciò che invece si può evidenziare è il possibile conflitto tra l’obbligo d’arresto e la norma sull’immunità dei capi di Stato e di governo di Stati terzi rispetto allo Statuto della CPI — norma  che sarebbe applicabile a Netanyahu (e Putin), ma non a Gallant. Sul piano internazionale, l’assenza di una gerarchia chiara tra queste norme lascia spazio a interpretazioni: la norma sull’immunità, pur generale, non è cogente e può essere derogata da norme pattizie come quelle della CPI. L’obbligo d’arresto, essendo successivo e specifico, potrebbe quindi prevalere. In questa situazione, la scelta diventa politica e spetta naturalmente ai governi: rispettare gli impegni multilaterali della CPI di fronte ad accertate violazioni dei diritti umani o tutelare la relazione con un alleato storico come Israele. Tuttavia, come dovrebbe essere evidente, ciò nulla toglie alla legittiumità della decisione giuridica della Corte.

In conclusione, il testo di Ferrara promuove una narrazione ideologica e fortemente politicizzata del conflitto israelo-palestinese, oscurandone la complessità e ignorando i problemi strutturali della “democrazia” israeliana. L’uso di un linguaggio emotivo e polarizzante e la distorsione del ruolo e delle prerogative della CPI non facilitano, anzi impediscono una comprensione oggettiva della realtà.