Uno degli "Executive Orders" di Trump decreta la fine, per le imprese multinazionali statunitensi dotate di un certo fatturato, dell'accordo sulla tassazione al 15% dei redditi da esse prodotti. Tale accordo era già stato minato dalla debolezza dei democratici "riformisti" americani, incapaci di qualsiasi azione davvero redistributiva, come giustamente ci sottiolineato da Ferruccio De Bortoli in un articolo che andrebbe letto in parallelo ad un illuminante post di Alessandro Volpi su facebook.
De Bortoli sostiene che i recenti sviluppi hanno cause molto risalenti. L'accordo internazionale non ha mai goduto di un deciso sostegno e l'opposizione di vari Paesi, insieme a pressioni delle grandi corporation, ne ha compromesso la realizzazione. La mancanza di una strategia comune, soprattutto in Europa, e i continui ricatti commerciali statunitensi hanno ulteriormente indebolito l'iniziativa. Il risultato, sancito oggi da Trump, è che la tassazione equa dei giganti digitali e finanziari rimane una chimera, mentre l'evasione fiscale prosegue, erodendo la fiducia dei cittadini verso le istituzioni.
Il professor Volpi dal canto suo nota come Trump abbia ha sancito “la feroce ripresa della deregolamentazione finanziaria, definendo a tutti gli effetti gli Stati Uniti come un paradiso fiscale”. Tale decisione si accompagna a una doppia strategia: quella di far diventare gli Stati Uniti il centro indiscusso della speculazione finanziaria e quella di investire gigantesche risorse pubbliche nell'intelligenza artificiale. Ciò implicherà perlomeno i seguenti tre effetti, da lui sottolineati: a) una fuga di grandi multinazionali, anche europee, verso il paradiso fiscale americano; b) un incremento della speculazione finanziaria, in particolare a causa delle criptovalute, di cui gli Stati Uniti dovrebbero diventare il il più grande mercato; c) la probabile messa fuori gioco dell'UE, incapace di uno sforzo analogo di investimento in tema di IA.
Si potrebbe anche paventare un'altra cosa: e cioè, un incremento della pressione fiscale sulle classi medio-alte in Europa, data l'impossibilità di finanziarie i bilanci pubblici – gravati dalla transazione ambientale e dalle spese per il riarmo – in altro modo, più giusto. Badate bene: di questo stato di cose la responsabilità è largamente imputabile alle sinistre sedicenti "riformiste", incapaci, come sottolinea De Bortoli – non proprio un socialista radicale – di aggredire davvero gli enormi profitti prodotti dalle suddette multinazionali, nei lunghi anni in cui hanno governato, sia negli Stati Uniti che in Europa. Queste destre, al contrario, non hanno mai infinto le loro tendenze, diciamo così, finanz-capitalistiche.
Un velo pietoso andrebbe poi steso sulle considerazioni "pragmatiche" di Von der Leyen a proposito della necessità di guardare anche alla Cina, dopo la sbornia euroatlantica degli ultimi anni e il completo appiattimento sulle politiche americane (penso non solo a quelle militari, ma anche al "friend shoring").