Antimaka s.f.: nome immaginario composto da anti (contro) e mache (battaglia). Evoca una figura mitologica che ripudia la guerra, lottando per la pace e la giustizia.

Analisi critica dell'accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas

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Il successo dell’accordo dipenderà dalla capacità delle parti di superare le numerose sfide poste da un conflitto intricato e dalle divisioni politiche interne ed esterne. L’esito avrà implicazioni profonde non solo per Israele e Gaza, ma per l’intera stabilità del Medio Oriente. Ogni fase del piano richiede un impegno straordinario da parte dei mediatori e delle parti coinvolte, ma rappresenta anche una rara opportunità di costruire un percorso verso la pace in una delle regioni più tormentate del mondo.

L’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas rappresenta un momento cruciale nel conflitto tra le due parti, con implicazioni sia umanitarie che geopolitiche. Lo mette in luce una dettagliata analisi della Associated Press pubblicata il 15 gennaio 2025 sul quotidiano di opposizione israeliano Haaretz (qui in versione integrale in inglese). Se pienamente attuato, il piano prevede il rilascio di ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi, la riduzione delle operazioni militari israeliane e l’incremento degli aiuti umanitari a Gaza. Tuttavia, numerosi punti critici rischiano di comprometterne la realizzazione.

Fasi dell’accordo

L’accordo si sviluppa in tre fasi principali. Durante la prima fase, che durerà 42 giorni, Hamas rilascerà 33 ostaggi, principalmente donne, bambini e anziani. In cambio, Israele libererà centinaia di prigionieri palestinesi, tra cui donne e minori. Le truppe israeliane si ritireranno dalle aree più popolate di Gaza per posizionarsi lungo i confini della Striscia, permettendo il ritorno dei palestinesi nelle loro case e il flusso di aiuti umanitari. La seconda fase mira a stabilire una “calma sostenibile”, con il rilascio dei restanti ostaggi maschi e un ritiro totale delle truppe israeliane. Tuttavia, molti dettagli di questa fase devono ancora essere negoziati, inclusa la questione di come sarà governata Gaza. La terza fase prevede il recupero dei corpi dei caduti da entrambe le parti, accompagnato da un piano di ricostruzione di Gaza sotto supervisione internazionale.

Le criticità del piano

Nonostante le promesse, l’accordo presenta numerose incognite. La liberazione degli ostaggi si concentra inizialmente su donne, bambini e anziani, lasciando però soldati e uomini in cattività fino alla seconda fase. Inoltre, non tutti gli ostaggi sono detenuti da Hamas, e ottenere la collaborazione di altri gruppi militanti potrebbe rivelarsi complicato. Questo aspetto evidenzia come la frammentazione delle fazioni armate palestinesi costituisca un ostacolo significativo per l’attuazione del piano.

Dal lato israeliano, l’impegno a liberare prigionieri palestinesi, inclusi alcuni condannati all’ergastolo, potrebbe incontrare opposizioni politiche interne, specialmente considerando le tensioni tra il governo Netanyahu e i partiti più conservatori. Inoltre, i rischi per la sicurezza derivanti dalla liberazione di individui considerati pericolosi rappresentano un argomento di forte controversia all’interno della società israeliana.

Prima fase: ritiri e ritorni problematici

La prima fase dell’accordo prevede il ritiro delle truppe israeliane da un’area di un chilometro lungo il confine della Striscia di Gaza, consentendo il ritorno dei palestinesi nelle loro abitazioni. Tuttavia, la situazione sul terreno resta complessa. Israele ha già creato corridoi militari, come il Netzarim Corridor, per impedire movimenti incontrollati di persone e armi verso il nord di Gaza. Sebbene il piano preveda il ritiro delle truppe da queste aree, Israele intende mantenere controlli rigorosi sui movimenti, creando possibili attriti durante l’attuazione.

Molte case e infrastrutture a Gaza sono state distrutte o gravemente danneggiate durante le operazioni militari. Questo significa che il ritorno dei palestinesi nelle loro abitazioni sarà accompagnato da un immenso sforzo di ricostruzione. Ma la mancanza di risorse immediate e le restrizioni sull’ingresso di materiali da costruzione potrebbero ostacolare seriamente questi sforzi.

La questione degli aiuti umanitari

Un elemento centrale dell’accordo è l’incremento degli aiuti umanitari a Gaza. Centinaia di camion dovrebbero attraversare i valichi ogni giorno, portando cibo, medicine e materiali per la ricostruzione. Tuttavia, Israele ha storicamente posto restrizioni sull’ingresso di alcuni materiali, temendo che possano essere utilizzati da Hamas per scopi militari. Inoltre, il governo israeliano continua a sostenere l’esclusione dell’UNRWA, l’agenzia ONU che coordina gran parte degli aiuti nella regione, complicando ulteriormente la distribuzione.

L’emergenza umanitaria a Gaza è drammatica. Malnutrizione, malattie e la mancanza di servizi essenziali come acqua potabile e elettricità hanno colpito milioni di persone. Sebbene l’incremento degli aiuti sia un passo importante, la loro distribuzione efficace dipenderà da un coordinamento internazionale e dalla capacità di evitare che le risorse finiscano nelle mani sbagliate.

La seconda fase e le sue sfide

La seconda fase dell’accordo rappresenta il vero banco di prova. Israele insiste che un ritiro completo avverrà solo con l’eliminazione delle capacità militari e politiche di Hamas, mentre Hamas richiede il ritiro delle truppe prima del rilascio degli ultimi ostaggi. Questa situazione implica la necessità di negoziare un governo alternativo per Gaza, una prospettiva che solleva interrogativi sulla possibile partecipazione di Hamas e sulle resistenze di Israele.

La pressione sulle parti sarà intensa: un fallimento nel raggiungere un accordo potrebbe portare Israele a riprendere l’offensiva militare, con il rischio di perdere ostaggi ancora detenuti. Al contempo, un compromesso che non distrugga completamente Hamas potrebbe minare la stabilità politica del governo israeliano. La questione di chi governerà Gaza, se Hamas dovesse essere estromesso, rimane irrisolta, aprendo scenari di potenziale instabilità.

Terza fase: ricostruzione e prospettive future

La terza fase dell’accordo si concentra sulla ricostruzione di Gaza. Questo include la creazione di infrastrutture essenziali e l’apertura dei valichi di frontiera per facilitare la mobilità. Israele però vuole garantire che Hamas non abbia alcun ruolo nella gestione della ricostruzione, il che richiederà un delicato equilibrio tra controllo internazionale e autonomia locale.

La comunità internazionale avrà un ruolo cruciale nel finanziamento e nella supervisione di questi sforzi. Paesi come Egitto e Qatar, che hanno mediato l’accordo, saranno fondamentali per garantire che i fondi siano utilizzati per scopi pacifici. Tuttavia, le tensioni tra Israele e organizzazioni come l’ONU potrebbero complicare ulteriormente il processo.
 


Immagini: A sinistra: I familiari degli ostaggi trattenuti da Hamas reagiscono alle notizie sul cessate il fuoco durante una protesta che chiede la fine dei combattimenti e la liberazione degli ostaggi, davanti alla sede del partito Likud a Tel Aviv (EPA Photo/Abir Sultan). A destra: FesteggiamentiaDeir al-Balahhhh, nella parte centrale della Striscia di Gaza (AP Photo/Abdel Kareem Hana).