La filosofa Roberta De Monticelli riflette – su il manifesto – sul rapporto tra forza, violenza e giustizia, ancorandosi a una celebre affermazione di Pascal: «Non potendo fare che ciò che è giusto fosse forte, abbiamo fatto che ciò che è forte fosse giusto». Questo enunciato, sottolinea l’autrice, non esprime solo uno sconforto etico, ma mette in luce un paradosso filosofico e giuridico fondamentale: il diritto trae la propria efficacia dalla forza, che pure deve per suo statuto vincolare, limitare e civilizzare.
Questo paradosso, oggi, si manifesta con particolare chiarezza nel diritto internazionale, che sembra oscillare tra due prospettive antitetiche. Da un lato, l’approccio nichilista della geopolitica, che riduce il diritto a uno strumento della volontà di potenza; dall’altro, l’esigenza di un ritorno al pacifismo giuridico, radicato nella tradizione normativa che ne ha ispirato l’origine. De Monticelli osserva che il diritto internazionale incarna una tensione costante tra giustizia e polizia, tra ideale e pragmatismo. Questo fragile equilibrio configura un circolo, “che può girare in senso virtuoso o in senso vizioso”.
Gira in senso vizioso ogniqualvolta la retorica prevale sulla logica e la potenza schiaccia l’etica. Quando, ad esempio, l’uomo più potente al mondo, utilizza “lo spazio pubblico che privatamente possiede” per sostenere che solo i neonazisti potranno salvare la Germania, o per riconoscere all’Italia il diritto di calpestare i diritti umani dei migranti. Quando l’Unione Europea approva l’uso di sistemi missilistici occidentali per colpire in profondità la Russia, accettando così il rischio di uno scontro diretto tra Russia e NATO. Uando negli Stati Uniti il presidente uscente approva la reintroduzione di armi micidiali già vietate, mentre gli accordi sul controllo degli armamenti del 1987, firmati da Reagan e Gorbaciov, vengono smantellati con il riposizionamento di missili a medio raggio in Europa. Quando pochissimi stati membri dell’ONU e della Convenzione sul genocidio implementano le misure urgenti disposte dalla Corte di Giustizia Internazionale per fermare il genocidio a Gaza, mentre Israele, sostenuto dai suoi alleati, ignora impunemente l’ONU e i suoi tribunali. O quando Amnesty International e Human Rights Watch denunciano il disastro umanitario in Palestina, ma tutto sembra avvolto in una coltre di indifferenza globale—indiffernza "natalizia", come ironizza amaramente De Monticelli.
Questa realtà segna il trionfo di un paradigma dominato dalla destra globale, intesa come un sistema di pensiero che appiattisce la giustizia sulla forza, rigettando ogni limite etico e normativo. Ne risulta una politica che, svincolandosi dal diritto, si rovescia in guerra. In questo quadro, De Monticelli critica severamente una sinistra incapace di comprendere la portata della catastrofe, imprigionandosi nella giustificazione delle “guerre giuste”. Solo una presa di coscienza autentica di questa deriva potrebbe invece consentirle di recuperare il proprio ruolo storico e il sostegno di chi ancora ne condivide i valori.
Eppure, osserva l’autrice, il circolo vizioso non è irreversibile e può essere costretto invertire il suo giro in senso virtuoso. Citando Hans Kelsen, ricorda che «la guerra è un assassinio di massa, la più grande disgrazia della nostra civiltà; e garantire la pace mondiale deve essere il nostro principale obiettivo politico, un obiettivo che viene molto prima della scelta fra democrazia e dittatura, o tra capitalismo e socialismo». Questo principio rappresenta il fulcro del pacifismo giuridico, concepito come uno sforzo intellettuale per trasformare il diritto in un sistema capace di regolare e contenere la forza, inclusa quella esercitata dal complesso militare-industriale globale.
De Monticelli richiama figure come Norberto Bobbio, che nei suoi scritti post-bellici immaginava una riduzione degli eserciti nazionali a mere forze di polizia comune, e Altiero Spinelli, che prefigurava un’Unione Europea in grado di sottrarre agli stati il monopolio della forza, costruendo un sistema di sicurezza, giustizia e libertà condiviso. Questo ideale affonda le sue radici ancor più lontano, nell’elaborazione etica di Edmund Husserl, che concepiva la cultura come consapevolezza delle interdipendenze tra le vite umane e come base per un’etica universale, capace di armonizzare vincoli economici, ecologici ed etici con la libertà individuale.
De Monticelli conclude con un auspicio: che il Natale possa rappresentare un autentico solstizio, un’occasione per invertire il corso del circolo vizioso e far ripartire un circolo virtuoso, in cui il diritto recuperi la sua funzione civilizzatrice e la giustizia possa prevalere sulla forza.