Nell’editoriale sul Domani Nadia Urbinati contesta la caricatura di “socialismo rosso” con cui alcuni commentatori americani descrivono il programma di Ibrahim Mamdani, politico di New York sostenuto da una coalizione di minoranze urbane. Non è un virus europeo, scrive Urbinati, ma una tradizione antica: quella del socialismo municipale che nacque negli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento, quando le città si fecero carico dei bisogni concreti dei cittadini.
Quel socialismo, spiega, non è comunismo, ma un’estensione del liberalismo per la povera gente, come lo definiva Carlo Rosselli. Nacque nelle grandi metropoli americane – San Francisco, Detroit, Chicago, New York, Seattle – grazie a sindacati e amministrazioni locali che rivendicavano la proprietà pubblica dei servizi: acqua, gas, trasporti, scuole. Fu così che, nel 1894, New York introdusse la gestione pubblica della metropolitana.
Oggi, Mamdani riprende quella tradizione proponendo misure concrete: congelamento degli affitti per un milione di appartamenti a canone stabilizzato, scuole materne pubbliche accessibili, potenziamento dei trasporti urbani. Secondo il New York Times, sono proposte fattibili, capaci di ridare respiro alle famiglie e rilanciare una città “depressa e diseguale”.
Urbinati osserva che i grandi media – di proprietà di oligarchi e finanzieri – agitano lo spettro del terrore rosso, ma dimenticano che New York vive non di super-ricchi, bensì di ceto medio e di servizi pubblici efficienti. La città, conclude, è il vero luogo della politica democratica: non la nazione astratta, ma la comunità dove si sperimentano soluzioni ai problemi reali.
Il socialismo municipale, dunque, non è un pericolo ideologico, bensì un progetto civile e liberale per rendere le città vivibili, inclusive e solidali.