Patrick Gathara su Al Jazeera esamina l'emissione di mandati di arresto da parte della Corte Penale Internazionale nei confronti di Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant, accusati di crimini di guerra.
L'autore critica l'ipocrisia dell'Occidente, in particolare degli Stati Uniti, che sostengono la CPI solo quando le indagini riguardano leader africani o avversari politici, ma la delegittimano quando coinvolge alleati come Israele. Questo doppio standard mina la credibilità della giustizia internazionale e perpetua l'impunità per gravi violazioni dei diritti umani.
Gathara introduce il termine swahili di "mtu wetu", che si traduce letteralmente come ”persona nostra", per descrivere un fenomeno comune non solo in Africa, ma applicabile anche a livello globale: la tendenza a proteggere e giustificare le azioni dei “propri”: amici, alleati o membri di un determinato gruppo o clan, indipendentemente dalla moralità o legalità delle loro azioni. Questo concetto, radicato in una logica tribale, implica una difesa quasi incondizionata del "nostro uomo”, vista come una forma di lealtà identitaria o politica, anche quando questa protezione avviene a discapito della giustizia e dell'equità.
Gathara utilizza questo termine per criticare l'atteggiamento dell'Occidente nei confronti di Israele, in particolare nella gestione delle accuse di crimini di guerra mosse contro Netanyahu e Gallant. Secondo l'autore, gli Stati Uniti e molti paesi europei agiscono secondo una logica di "mtu wetu" proteggendo Israele come un alleato strategico, senza considerare seriamente le gravi accuse di violazioni dei diritti umani e crimini di guerra, che includono l'uso sproporzionato della forza contro civili palestinesi. Questa protezione selettiva, argomenta Gathara, non è diversa dalla solidarietà politica che in passato ha portato alcuni leader africani a difendere collettivamente i loro pari accusati di crimini gravi, come nel caso delle accuse della Corte Penale Internazionale contro Kenyatta e Ruto in Kenya.
Questo concetto non solo evidenzia un doppio standard nell'applicazione della giustizia internazionale, ma sottolinea anche come il tribalismo politico e diplomatico perpetui l'impunità. Mentre la Corte Penale Internazionale è stata usata in passato per indagare principalmente leader africani, spesso con l'appoggio delle potenze occidentali, quando le indagini si spostano su alleati strategici di queste stesse potenze, come Israele, l'intervento della CPI viene minimizzato, delegittimato o apertamente osteggiato. Questa disparità, osserva Gathara, mina l'integrità e la credibilità della giustizia internazionale, presentadola come un apparato strumentale e politicamente orientato, piuttosto che in un meccanismo universale di accountability.
L'uso del concetto di "mtu wetu" non è dunque solo una critica agli atteggiamenti dell'Occidente, ma un monito più ampio contro la politicizzazione della giustizia, che, se non affrontata, rischia di rendere il sistema giudiziario internazionale incapace di fornire giustizia alle vittime e di prevenire future violazioni dei diritti umani. Gathara lancia dunque un appello alla CPI perché sconfigga questa logica e riaffermi la sua imparzialità e credibilità come istituzione globale.
* Patrick Gathara è Senior Editor for Inclusive Storytelling at The New Humanitarian