Cassandra a Mogadiscio è un memoir che attraversa confini geografici ed emotivi, raccontando con intensità e profondità la diaspora somala e il dramma della guerra civile. L'opera si distingue non solo per la sua capacità di intrecciare vicende personali e collettive, ma anche per l'abilità dell'autrice di trasformare il dolore in strumento di consapevolezza e, sorprendentemente, di perdono.
Il libro è organizzato come un viaggio della memoria, in cui Scego, attraverso il racconto della sua esperienza di figlia della diaspora somala, ci porta dentro una storia che è al contempo personale e universale. La narrazione è pervasa da un senso di perdita: la Somalia, dilaniata dalla guerra civile, appare come un luogo che esiste solo nei ricordi e nei racconti delle generazioni precedenti. Tuttavia, questo memoir è ben lontano dal limitarsi a una sterile nostalgia; è, piuttosto, un ponte tra passato e presente, tra l'individuale e il collettivo.
La giovane protagonista che osserva gli orrori della guerra attraverso gli occhi dell'infanzia diventa una donna capace di riflettere criticamente sulla storia della sua famiglia e del suo Paese. Attraverso questa doppia lente, Scego riesce a catturare sia l'innocenza ferita che la saggezza conquistata con il tempo. La narrazione non segue un percorso lineare, ma si muove fluidamente tra il passato e il presente, offrendo al lettore un mosaico di esperienze, emozioni e riflessioni.
Uno degli aspetti più potenti di Cassandra a Mogadiscio è il modo in cui affronta il tema della diaspora. Come sottolineato da Nancy Porsia, il libro non si limita a esplorare le implicazioni giuridiche dello status di rifugiato, ma si sofferma soprattutto sulle dimensioni emotive e umane. La diaspora viene rappresentata non solo come una condizione geografica, ma come uno stato dell'anima, un'esistenza sospesa tra mondi diversi e spesso inconciliabili.
La guerra civile somala è al centro del racconto, ma Scego riesce a evitare i cliché spesso associati a questo tipo di narrazioni. La guerra non è solo un evento storico, ma una forza che spezza famiglie, identità e vite. Eppure, il libro non è privo di speranza. Il perdono, descritto da Sara Schincaglia come “il suono incredibile” del libro, emerge come una possibilità reale, anche se dolorosa. Non si tratta di un perdono facile o superficiale, ma di un processo complesso che richiede confronto con il passato e accettazione della propria vulnerabilità.
Ma è forse il linguaggio di Scego a rappresentare uno degli elementi più distintivi del libro. Scrivendo in italiano, l’autrice riesce a creare un ponte tra culture e identità, dando voce a una prospettiva unica: quella di chi appartiene contemporaneamente a più mondi senza sentirsi completamente accettata in nessuno. Il linguaggio è intriso di una musicalità che riflette la complessità delle emozioni descritte, alternando momenti di lirismo a passaggi più diretti e incisivi. Come osservato da Jhumpa Lahiri candidando il libro al Premio strega, la scrittura di Scego, “folgorante, urgente, tutta sua”, arricchisce la letteratura italiana contemporanea.
Infine, ma non da ultimo, particolarmente riuscito è l’uso della metafora di Cassandra, figura mitologica condannata a prevedere il futuro senza essere creduta. Questa immagine cattura perfettamente il senso di impotenza e frustrazione di chi, come la diaspora somala, ha visto il proprio mondo crollare nell’indifferenza generale. Allo stesso tempo, Cassandra è anche un simbolo di resilienza e forza, una testimonianza che rifiuta di essere silenziata.