Alberto Negri spiega su il manifesto del 1 dicembre perchè la Siria rappresenta uno snodo cruciale nel progetto israelo-americano di disgregazione e ricostruzione del Medio Oriente in chiave "imperiale".
Prima ancora della tregua in Libano, il primo ministro israeliano Netanyahu annunciava la strategia per destabilizzare il Medio Oriente, concentrandosi sull’Iran. La Siria è centrale in questa battaglia, e il conflitto che la lacera da anni è alimentato da attori regionali e globali: mentre i media occidentali continuano a presentare i jihadisti come “ribelli”, queste milizie giocano un ruolo politico cruciale, sostenute da Turchia, Stati Uniti e Israele contro Assad e i suoi alleati, Iran e Russia.
La crisi del “processo di Astana”
Il “processo di Astana”, avviato nel 2017 da Russia, Iran e Turchia per una de-escalation in Siria, è entrato in crisi da tempo: la capacità della Russia di sostenere Assad è diminuita a causa della guerra in Ucraina, l’Iran ha dovuto ridurre il sostegno alla Siria sotto la pressione delle sanzioni economiche e della nuova guerra in Libano. Con Assad fragile, l’Iran in difficoltà e Putin distratto dalla guerra in Ucraina, Erdogan ha potuto sostenere i jihadisti per indebolire i curdi nel nord, rafforzando la sua posizione negoziale con attori regionali e internazionali.
Il ruolo ambiguo della Russia
Questa situazione è complicata dall’ambiguo rapporto tra Russia e Israele, legati da un accordo tacito che permette a Israele di colpire obiettivi iraniani e siriani senza reazioni significative da Mosca. Nonostante il sostegno russo ad Assad e l’alleanza con Iran e Hezbollah, i legami informali tra i due paesi garantiscono relazioni pragmatiche. Si tratta innanzitutto di legami commerciali e finanziari, facilitati dalla presenza di oligarchi russi che investono in Israele. Personaggi di spicco come Roman Abramovich, che è diventato cittadino israeliano, rappresentano l’intersezione tra interessi economici russi e israeliani. Inoltre, il flusso di capitali tra Tel Aviv, Mosca e altre piazze come Dubai indica un intreccio di affari che contribuisce a mantenere relazioni bilaterali stabili. In secondo luogo, tra Russia e Israele vi sono legami “demografici”: la presenza di circa 1,5 milioni di russofoni in Israele e di 80-100 mila cittadini israeliani in Russia crea un ponte culturale e umano che rafforza le connessioni bilaterali. Questi elementi spiegano la debolezza delle reazioni russe agli attacchi israeliani contro obiettivi iraniani e siriani.
Il progetto imperiale di Netanyahu (e Trump).
Tutto ciò favorisce i piani di Israele. L’obiettivo immediato di Netanyahu è impedire la ricostruzione dell’arsenale di Hezbollah, distrutto in Libano; ma il suo obiettivo intermedio è la destabilizzazione della Siria, cosa che a sua volta consentirà di colpire il bersaglio più grosso: l’Iran. Questa è la parte più importante del piano che Netanyahu sottoporrà Trump una volta insediato alla Casa Bianca. Piegati gli Hezbollah, decimati i palestinesi, frantumata la Siria, pronti a colpire l’Iran, l’asse israelo-americano vede più vicino il progetto “imperiale” di fare dello stato ebraico l’incontrastata superpotenza della regione.